Il Brasile nel nuovo secolo appare come una potenza emergente in grado di giocare un proprio ruolo autonomo non solo all’interno del suo contesto regionale, ma anche all’esterno del continente americano, come dimostra la recente opera di mediazione tra Turchia e Iran per raggiungere un accordo sullo sviluppo del nucleare iraniano.
All’interno dell’America Indio-Latina appare come il motore principale dei processi di integrazione regionale, ad esempio del MERCOSUR o di organizzazioni di difesa e cooperazione militare come l’UNASUR, mentre all’esterno, grazie anche all’azione coordinata con altre potenze in ascesa (vedi BRIC, Brasile, Russia, India e Cina) fa sentire la sua voce nelle riunioni del G20 e in altri fori internazionali, difende i suoi interessi primari investendo in Africa e stipulando accordi commerciali e diplomatici con molti Paesi del Medio Oriente.
Lula ha impostato la sua azione di governo avendo come direttrici la guerra dichiarata alla povertà e alla piaga dell’analfabetismo, la riforma agraria e l’eliminazione del latifondo, la stabilizzazione dell’America Latina (sia da un punto di vista politico, che economico) e il rilancio dell’economia brasiliana all’interno del capitalismo globalizzato.
Ruolo nel mercato globale
Come nuova economia emergente mondiale, il Brasile si è spesso trovato in rotta di collisione con le politiche doganali statunitensi, i quali, nonostante i loro proclami neoliberisti che vedono nella libera concorrenza e nel libero mercato la panacea per tutti i mali, sono abituati da sempre a imporre pesanti dazi doganali per proteggere i propri settori interni dalla concorrenza mondiale, anche contraddicendo le regolamentazioni sul libero commercio promosse da istituzioni come il WTO, di cui sono i principali promotori.
Per rappresaglia, Il Brasile ha preparato un dettagliato elenco di circa 100 prodotti statunitensi che prevede di colpire con dei dazi a causa del rifiuto di Washington di rispettare una pronuncia dell’Organizzazione Mondiale del Commercio contro le sovvenzioni statunitensi al settore del cotone.
L’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) aveva dato il via libera al Brasile per impostare un ammontare di sanzioni annue pari a 829 milioni di dollari. Una decisione volta a colpire il prolungato atteggiamento poco corretto e anticoncorrenziale degli Stati Uniti negli anni scorsi che, grazie ai sussidi, davano un vantaggio competitivo notevole ai propri produttori di cotone.
Lula da Silva ha sottolineato che la decisione di Brasilia non è destinata ad iniziare una “guerra commerciale”, ma che l’obiettivo della misura è solo quello di garantire il rispetto delle regole, chiedendo al Presidente Obama di avviare “il più presto possibile” i negoziati sulla questione. Tuttavia per l’amministrazione statunitense non sarà semplice, in quanto gli americani cercano sempre, nelle loro forze e budget, di mantenere un vantaggio sui diretti concorrenti, anche a rischio di eventuali sanzioni.
Anche durante gli accordi commerciali stipulati lo scorso giugno con il premier italiano Silvio Berlusconi, Lula ha evidenziato ancora una volta la doppia moralità dei Paesi ricchi in materia di protezionismo, condannando le politiche di sussidi all’agricoltura messi in atto dall’occidente rispetto alle politiche del governo brasiliano che favoriscono gli scambi internazionali, alludendo ai 1,7 milioni di dollari investiti di recente dal governo Obama in sussidi all’agricoltura.
Alla “conquista” dell’Africa
Il Brasile mostra la volontà di cambiare i vecchi equilibri di potenza nati dalla Seconda Guerra Mondiale, difatti punta alla riforma non solo dell’ONU, ma anche di istituzioni come il FMI e la Banca Mondiale, rispetto ai quali si è trasformato da debitore in creditore per cambiare da dentro le relazioni di potere e le regole del gioco, nel senso di dare più voce in capitolo ai Paesi emergenti nelle scelte dei modelli economici da promuovere per il pianeta.
Il Brasile sta iniziando gradualmente a stabilire la sua presenza in Africa, dove sta seguendo una strategia di penetrazione molto simile a quella cinese, promuovendo soluzioni più orizzontali e meno assistenziali verso questi Paesi, rispetto ai modelli di prestiti capestro messi in atto dagli occidentali fino ad ora: “Non siamo venuti in Africa per scusarci del nostro passato coloniale, noi vogliamo essere autentici soci per la cooperazione e lo sviluppo comune. Insieme possiamo fare grandi cose per lo sviluppo delle nostre economie e la cooperazione sud-sud è importantissima per combattere le iniquità dell’attuale ordine mondiale”, ha dichiarato Lula nel suo recente viaggio in Africa.
La prova che le sue non sono solo parole di facciata, sono l’offerta di stabilire programmi congiunti con la Liberia per lo sviluppo di biocombustibili (nei quali il Brasile ha una esperienza più che trentennale), oltre alla collaborazione per combattere la piaga dell’AIDS, che colpisce attualmente il 10% dei liberiani.
Anche con l’Angola si sono intrapresi programmi di cooperazione nel campo dell’economia, nello sviluppo di tecniche per l’implementazione del progetto pilota per combattere le malattie legate alla mancanza di calcio, per la formazione professionale rurale e progetti per aumentare le superfici coltivabili.
I due Paesi hanno anche firmato accordi per la cooperazione bilaterale nelle area di difesa, istruzione non superiore e formazione di quadri dirigenziali, oltre a investimenti reciproci, alleanze tra entità del settore pubblico e privato dei due Paesi e scambio di conoscenze e tecnologie, superando così l’approccio paternalista e asimmetrico di stampo occidentale.
Dedollarizzazione degli scambi internazionali
In America latina si sta cercando di essere progressivamente meno dipendenti dal dollaro negli scambi commerciali, per evitare di essere investiti da eventuali crisi esterne come avvenuto nei decenni passati. Oltre alle iniziative venezuelane con il progetto ALBA che comporta l’adozione del SUCRE come nuova unità di scambio tra i Paesi membri, il Brasile ha promosso diversi accordi per superare il dollaro negli scambi con i Paesi vicini.
Nel settembre 2008, Brasile e Argentina adottarono definitivamente il Real brasiliano e il Peso argentino come moneta per gli scambi bilaterali, eliminando così l’uso del dollaro. Al Sistema di pagamenti in moneta locale si stanno aggiungendo progressivamente altri Paesi, come Messico, Paraguay e Uruguay.
Nell’ottobre 2009, le banche centrali di Brasile e Uruguay hanno stabilito un accordo simile a quello tra Brasile e Argentina per eliminare il dollaro come moneta di scambio per il commercio bilaterale, poiché sia il Real che il Peso sono sopravvalutate rispetto al dollaro, il che non lo rende conveniente come moneta da utilizzare negli scambi.
Brasile nel BRIC
BRIC è un acronimo usato per la prima volta da un economista di Goldman&Sachs, Jim O’Neill, per indicare le nuove potenze emergenti di Brasile, Russia, India e Cina, che condizioneranno il futuro delle relazioni internazionali grazie al loro potenziale inespresso.
Il Paese sudamericano è conscio delle differenza con Paesi come India o Cina per quanto riguarda ad esempio il tema dei sussidi al mercato agricolo, ma è convinto che si può usare questa importante piattaforma per promuovere temi che uniscono gli interessi delle quattro neo potenze, come ad esempio la riforma della finanza mondiale e il ruolo del FMI nello sviluppo economico (rispetto al quale in pochi anni è passato, come accennato, da debitore a creditore per 10,000 milioni di dollari), il ruolo del dollaro nel commercio mondiale, la riforma dell’ONU per la promozione di un mondo multilaterale e in generale aumentare la voce dei PVS nelle arene mondiali dove si prendono le decisioni che si ripercuoteranno su tutto il pianeta.
Già nello scorso G20 di Londra (aprile 2010) i Paesi del BRIC insistettero molto nel riformare i meccanismi di voto delle istituzioni finanziarie di Bretton Woods, ottenendo la creazione di un fondo internazionale (libero da dogmi neoliberali) che propizia assistenza finanziaria rapida ai Paesi ben amministrati, ma colpiti dal calo delle esportazioni o dalla mancanza di credito.
Dal 2003 il commercio fra questi quattro Paesi è aumentato del 500%, il che spiega come attualmente generino il 65% della crescita mondiale, rappresentando la più concreta speranza di ripresa per l’economia capitalistica mondiale.
Alleanze
Come abbiamo visto il Brasile sta sviluppando una strategia di alleanze e cooperazione che travalicano i confini dell’America Indio-Latina, per trasformarsi da potenza regionale in attore globale.
Nel continente americano, oltre a essere il principale motore del progetto del Mercato Comune del Sud (MERCOSUR), è anche il punto di riferimento dell’integrazione regionale di sicurezza dell’Unasur, difatti ha esortato il neoeletto Presidente colombiano Santos, dopo essersi complimentato con lui per la recente vittoria elettorale, a mettere da parte gli asti e a rafforzare l’integrazione del sistema di difesa nell’interesse generale di tutti i popoli dell’America Latina.
Il Brasile ha anche annunciato per bocca del suo Cancelliere, Celso Amorin, che proporrà ai Paesi dell’UNASUR la creazione di un Consiglio di Pace e Sicurezza che sia in grado di risolvere efficacemente le crisi nella regione, dalla guerriglia in Colombia alle eventuali scaramucce di confine.
Il Cancelliere brasiliano si è complimentato anche con Unasur per l’appoggio dato al Presidente boliviano Morales dai tentativi di destabilizzazione separatista capeggiate dall’opposizione terriera delle regioni dell’est.
Le politiche brasiliane in Africa o in America Indio-Latina, perseguono il preciso obiettivo di far crescere la propria economia e contare sempre più nelle sedi politiche, economiche e finanziarie internazionali. Ovviamente per perseguire questi obiettivi è fondamentale vivere in un contesto regionale stabile.
Il Brasile è presente ormai anche in Eurasia, dove è riconosciuto come nuovo attore internazionale che può giocare un ruolo di “negoziatore attivo”nel processo di pace nel vicino e medio oriente, secondo quanto dichiarato dal Premier siriano Assad e come dimostrato dall’accordo raggiunto con Turchia e Iran sul nucleare persiano.
Di recente ha rinnovato l’alleanza con la Russia riguardo gli scambi tecnologici e sta implementando un Piano di Azione Strategica per sviluppare vincoli economici e commerciali, oltre che sistemi di pagamento internazionali in moneta locale in funzione antidollaro.
Oggi il Brasile si presenta come un attore autonomo, sia nella realtà regionale che internazionale, dove persegue l’obiettivo di diventare un attore decisivo seguendo una precisa strategia che vede nelle alleanze e nelle relazioni bilaterali solo degli strumenti per promuovere questo scopo.
Anche la dedollarizzazione negli scambi commerciali non persegue degli obiettivi antiamericani in sé, prova ne è la cooperazione militare con gli Stati Uniti, con i quali ha sottoscritto di recente un accordo che prevede la collaborazione in questioni tecniche, esercitazioni congiunte e scambio di tecnologia e mezzi militari, oltre il mutuo rispetto e il non intervento negli affari interni dell’altro Paese.
Inoltre, nonostante Lula abbia tenuto a precisare come l’accordo non preveda l’utilizzo di basi brasiliane da parte degli Usa, il giornale brasiliano O Estado de Sào Paulo ha pubblicato di recente un articolo secondo il quale il governo brasiliano ha iniziato a negoziare con quello statunitense per installare a Rio de Janeiro una base americana per far fronte al traffico di droga nella regione, molto simile a quelle create a Key West (Florida) e a Lisbona.
Conclusioni
Il Brasile rappresenta oggi una delle potenze emergenti del panorama internazionale, oltre che una delle economie più vivaci del pianeta.
Il suo obiettivo è ristabilire un mondo multipolare, dove i nuovi equilibri di potenza vengano riconosciuti nelle istituzioni internazionali e a tale scopo sta sviluppando una serie di alleanze con attori chiave per perseguire questi scopi.
Nonostante possa essere visto in parte come un antagonista dagli Stati Uniti nel breve termine, il suo apporto alla crescita dell’economia mondiale appare decisivo per superare la stagnazione attuale e permettere al sistema capitalistico di sopravvivere.
Il suo promuovere relazioni di tipo orizzontale con i Paesi del sud del mondo gli ha portato finora molte simpatie e successi, quello che c’è da chiedersi è se con la prossima fine della Presidenza Lula si continui a perseguire delle politiche che difendano l’interesse nazionale e a promuovere il nuovo status internazionale del Brasile o se gli attori internazionali a cui non piace l’indipendenza della politica brasiliana abbiano la meglio nell’influenzare il nuovo corso presidenziale.
Di certo il Brasile è cresciuto molto economicamente in questi anni e, considerando anche le alleanze tattiche sviluppate, appare improbabile un suo ridimensionamento come potenza globale.
* Sergio Barone è dottore in Relazioni Internazionali (Università di Bologna)