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Channel: Laurent Gbagbo – Pagina 271 – eurasia-rivista.org
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L’incerto futuro politico della Gran Bretagna

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Lo scorso 6 maggio la Gran Bretagna è stata chiamata a scegliere il suo nuovo governo, ma i risultati hanno deluso le aspettative di tutti i leader politici scesi in campo: 306 seggi ai Tories, 258 ai laburisti e 57 ai liberal-democratici. Una situazione di stallo che da oltre 30 anni non si verificava e che apre molti possibili scenari.

Il “modello Westminster” e l’hung Parliament

Questo modello nasce in Gran Bretagna (ma si riscontra anche in alcuni paesi della diaspora anglosassone, come Canada, Australia e Nuova Zelanda) e si presenta in un sistema bipartitico in cui il partito che ottiene la maggioranza assoluta dei seggi andrà automaticamente a formare il governo, e il suo leader diventerà Primo ministro.

Nelle recenti elezioni si è giunti a un hung Parliament, ovvero un Parlamento in cui il partito che ha ottenuto più voti non raggiunge i 326 seggi necessari per giungere alla maggioranza assoluta e governare senza problemi. Questo “Parlamento appeso” si era avuto già in 3 precedenti occasioni: 1929, 1951  e 1974. In questo particolare caso, i laburisti, i conservatori e i liberal-democratici dovranno negoziare la formazione del nuovo governo. Secondo la Costituzione britannica, infatti, è il Primo ministro uscente ad avere il diritto di tentare per primo la formazione di un nuovo governo: il premier Brown sarebbe pronto ad un accordo con i lib-dems.

In caso contrario, se l’accordo non ci fosse quindi, il Primo ministro potrebbe dimettersi lasciando l’incarico a David Cameron, dei Tories, che a sua volta potrebbe guidare il Paese con un governo di minoranza o tentare l’accordo con il partito di Clegg.

Programmi a confronto

Analizzando i programmi dei 3 partiti è possibile riscontrare delle peculiarità e molte analogie. La mia attenzione si è focalizzata su due aspetti in particolare, ovvero la politica interna (lavoro, economia, tasse) e lo politica estera. Vediamo, dunque, più in dettaglio.

- Labour Party: per ciò che riguarda la politica interna, Brown ha proposto di continuare a sostenere l’economia, gli affari e la finanza delle famiglie inglesi affinché si riduca il deficit causato dalla recessione. Sul fronte dell’occupazione, i laburisti parlano di aiutare tutti coloro che hanno perso il lavoro anche a non perdere la propria casa, grazie ad agevolazioni e mutui speciali. Oltre a ciò, il manifesto laburista si fa garante di un periodo di apprendistato per tutti quei giovani, nella fascia d’età 18-24, disoccupati da almeno sei mesi. Infine, ci si propone di sostenere il settore industriale poiché vero motore dell’economia, nonché di favorire l’apertura di nuove attività commerciali grazie alla riduzione delle tasse.

Per ciò che riguarda la politica estera, invece, si individuano 5 punti cardine su cui focalizzarsi, ovvero fermare i cambiamenti climatici, favorire i processi di pace, combattere la povertà, avere un mondo denuclearizzato e combattere il terrorismo, attraverso la fornitura alle forze dell’ordine di avanzati sistemi di difesa.

- Conservative Party: Cameron ha presentato un programma che, in politica interna, fa leva principalmente sugli aiuti ai disoccupati in quanto la crisi economica sembra sì giunta ad una fine (ad ascoltare certi commentatori), ma la disoccupazione continuerà ad aumentare. Risulta necessario, secondo i conservatori, mettere a punto un programma unitario a favore di tutti coloro che cercano un lavoro: lo stanziamento di 200 mila fra rapporti di apprendistato e nuovi posti nei college; 10 mila nuovi posti nelle università; la creazione di Work Clubs, luoghi in cui è possibile riunirsi e fare attività pratiche, migliorare le proprie capacità ed esperienze nonché trovare occasioni di lavoro.

In politica estera l’atteggiamento dei Conservatori può distinguersi in base a due tematiche fondamentali: lo sviluppo internazionale e il ruolo della Gran Bretagna in Europa. Per ciò che riguarda il primo argomento, si fa riferimento all’impegno per la lotta alla povertà, all’aiuto allo sviluppo economico e sociale dei Paesi più disagiati (con possibilità di votazioni popolari su come impiegare i soldi) nonché al costante lavoro per giungere a un mondo senza armi nucleari e senza conflitti. Quando si passa, invece, al ruolo dell’Unione Europea ecco che emerge l’opinione intransigente dei Tories: il recente Trattato di Lisbona sarebbe una vera piaga per tutto il popolo inglese, poiché delegittimerebbe il Paese stesso dei suoi poteri decisionali in merito alla lotta al crimine, alle leggi sul lavoro e all’indipendenza e autonomia dei giudici nazionali. Risulta fondamentale, dunque, portare i valori britannici in Europa e far sì che la nazione diventi una delle più importanti del G20.

- Lib-Dems: il partito di Clegg propone per la politica interna 4 punti: tasse giuste, un futuro migliore grazie alla creazione dei cosiddetti green jobs, opportunità per ogni bambino di accesso a una istruzione migliore, e un accordo simbolico con la popolazione affinché ci sia una politica più chiara e trasparente. Oltre a ciò, si punta il dito sulla questione lavoro, garantendo sostegno contro la disoccupazione e la possibilità di accedere a tirocini o apprendistati per tutti i giovani inoccupati da più di 90 giorni.

In politica estera, invece, i liberal-democratici propongono un atteggiamento di totale collaborazione con i partner internazionali affinché si lavori concretamente alla risoluzioni di problemi quali: cambiamento climatico, povertà e malattie nei Paesi più disagiati, rischio terrorismo e disarmo nucleare.

Similitudini e differenze

Dal breve riassunto sopra riportato, è facile notare come spesso le intenzioni dei 3 partiti siano del tutto similari: sostegno ai disoccupati, aiuti all’economia, meno tasse sono cavalli di battaglia triti e ritriti. Così come, osservando i propositi in merito alla politica estera, ritroviamo nei discorsi di tutti i candidati la tematica della povertà, delle malattie, del disarmo, della collaborazione con le altre nazioni in campo internazionale nonché il problema del cambiamento climatico. Tutti citano anche i cosiddetti Millennium Development Goals e l’importanza di raggiungere tali obiettivi.

Alla luce di queste considerazioni è evidente che gli elettori abbiano fatto una certa fatica ad identificarsi in un candidato piuttosto che in un altro; ma volendo andare a trovare alcune caratteristiche peculiari delle 3 parti possiamo elencare i seguenti aspetti: i laburisti hanno fatto un pressante riferimento ai risultati già ottenuti col precedente governo uscente, quali la creazione di 110 mila nuovi posti di lavoro o l’aumento dei fondi a favore delle famiglie numerose; i conservatori hanno puntato molto sul nazionalismo, cercando di evidenziare le caratteristiche negative dell’Unione Europea, nonché ribadendo l’importanza di riconsegnare il Paese ai cittadini; i liberal-democratici, infine, hanno puntato su tre aspetti fondamentali, ovvero la tutela dell’ambiente e, in politica estera, l’importanza di indagini in merito al coinvolgimento inglese nelle rendition, nonché favorire la cancellazione del debito per quei territori fortemente sottosviluppati.

Le ragioni di questo risultato

Alla luce delle molte somiglianze e delle poche differenze programmatiche, perché la Gran Bretagna è giunta a questo tipo di voto?

Innanzitutto, è necessario rilevare che nessun partito ha ottenuto la maggioranza dei seggi, indice da parte dei cittadini di una fiducia non totalmente riposta in nessuno dei 3 candidati. La retorica che imponeva di dibattere sulle tematiche economiche interne al Paese si è dimostrata identica in Cameron, Clegg e Brown, segno che l’elettore ha comprensibilmente potuto riscontrare difficoltà nel giungere a una scelta. Quello che potrebbe aver fatto la differenza e consegnato dunque la vittoria (seppur di maggioranza relativa) ai Conservatori è l’atteggiamento patriottico dimostrato, poiché l’idea di porre la Gran Bretagna “al primo posto” ha avuto un indiscutibile appeal fra la popolazione. Non è un avvenimento insolito, infatti, che nei momenti di forte crisi sociale ed economica le nazioni tendano a preferire una politica più nazionalistica, come dimostrato dal caso di specie. A sfavore dei laburisti è possibile credere che vi sia stata la troppo forte insistenza sui risultati già ottenuti, quando la nazione sta affrontando uno dei momenti di più forte disoccupazione giovanile dell’era moderna. I liberal-democratici, voce sicuramente fuori dal coro, hanno puntato troppo su tematiche ecologiste che, sebbene siano di sicuro interesse, passano in secondo piano rispetto alle problematiche economico-finanziarie che gli inglesi si trovano a vivere quotidianamente nelle loro famiglie.

Possibili scenari futuri

Stando così le cose, gli scenari futuri sono 3: Cameron fa un accordo con Clegg e crea una maggioranza di governo, Brown fa un accordo con i liberal-democratici e a sua volta crea la maggioranza per governare, oppure i Conservatori tentano un governo di minoranza. Alla luce di ciò che accadrà, si avranno conseguenze non tanto sulla politica interna quanto soprattutto sulla politica estera. Analizziamo, dunque, le varie opzioni.

Cameron e Clegg fanno un accordo: è ipotizzabile un governo che tenderà a salvaguardare l’indipendenza britannica rispetto all’UE, continuando a rifiutare una possibile entrata nell’euro e cercando di aggirare le disposizioni del recente Trattato di Lisbona. Oltre a ciò, Cameron ha definito le Nazioni Unite come un’istituzione obsoleta e opterebbe per un ricorso piuttosto in favore del G20. Inoltre, è plausibile che il Primo ministro tenda a voler esportare i valori britannici in Europa, per ribadirne la superiorità morale e far sì che le altre nazioni li abbraccino, nonché a far sentire le ragioni britanniche in campo europeo. Poiché i due partiti presentano delle differenze programmatiche, c’è da scommettere che Clegg imporrà alcune decisioni in favore della tutela ambientale. Un possibile motivo di screzio interno potrà essere costituito dalla volontà di indagare in merito ai coinvolgimenti inglesi in presunti casi di torture a prigionieri sospettati di terrorismo.

Brown e Clegg trovano un accordo: anche in questa situazione è plausibile che i liberal-democratici facciano sentire le loro ragioni soprattutto in merito alla questione della salvaguardia dell’ambiente. Sicuramente l’approccio internazionale dei due leader in questione è più affine rispetto alla precedente ipotesi: impegno verso la denuclearizzazione, verso la lotta alla povertà e verso la sicurezza internazionale saranno i capisaldi dell’azione. Entrambi vogliono che la Gran Bretagna continui a occupare un posto di primo piano sullo scenario internazionale, quindi la massima cooperazione multilaterale sarà garantita. Non è da escludere che, in un futuro anche se non prossimo, il Paese possa aprirsi al dibattito sull’euro. La questione povertà sarà, presumibilmente, un collante forte fra le parti: Clegg è a favore di una cancellazione totale del debito, di un aiuto verso l’instaurazione di governi non corrotti, della lotta alla mortalità infantile e materna, nonché di un giusto sviluppo sociale in queste regioni disagiate. Brown, dal canto suo, ha dichiarato che “contrastare la povertà globale e l’ingiustizia è sia moralmente giusto sia un nostro comune interesse”.

Cameron decide di instaurare un governo di minoranza: questa soluzione è sicuramente la più scomoda, poiché non permetterà di prendere decisioni autonomamente, ma dovendo sempre rispondere non a una ma a ben due parti politiche differenti. L’approccio prettamente patriottico e nazionalistico presentato in campagna elettorale sarà plausibilmente poco attuabile, soprattutto per ciò che concerne la chiusura netta nei confronti dell’Europa. Per ciò che riguarda le altri politiche quali il disarmo, la lotta alla povertà, l’incremento dei sistemi di difesa contro le minacce esterne non è credibile ritenere che vi saranno particolari problemi.

Cosa accadrà sullo scenario internazionale, quindi, dipende esclusivamente da quali decisioni saranno prese in merito al governo da stabilire. Indipendentemente da quale opzione sarà messa in atto, non è così probabile che la chiusura nei confronti dell’Unione Europea sia tanto netta, poiché non andrebbe sicuramente a vantaggio del Paese.

I recenti sviluppi

È notizia recentissima che l’accordo di governo è stato trovato e a guidare il Paese sarà Cameron con il sostegno di Clegg. L’era di Gordon Brown è tramontata e l’ex Primo ministro, dopo aver rassegnato le dimissioni, ha rimesso il mandato nelle mani della Regina. Il leader conservatore è così divenuto il nuovo capo di governo, poiché i negoziati susseguitisi incessantemente negli ultimi giorni fra lib-dems e laburisti sono falliti.

La prima conferenza stampa con i due nuovi alleati ha avuto luogo nel giardino della residenza in Downing Street: sorrisi e parole di stima e fiducia reciproca hanno invaso il clima dell’incontro. Secondo le prime indiscrezioni trapelate vi sarebbero già dei paletti nell’intesa: Clegg rinuncerà alla richiesta di un’amnistia per gli immigrati clandestini. Altra questione scottante, sempre secondo i rumors, sarebbe quella della riforma elettorale in quanto l’attuale sistema maggioritario sfavorisce i partiti più piccoli (come quello dei liberal-democratici). Ci sarebbe una spinta, quindi, verso un’evoluzione storica in senso proporzionale: i Tories hanno già promesso un referendum sulla questione.

Altro nodo da sciogliere rimarrà l’assegnazione degli incarichi da ministro (il posto alle Finanze dovrebbe andare al conservatore George Osborne e non al membro liberal-democratico Vince Cable). Risulta ovvio, però, che Cameron dovrà pur assegnare qualche posto eccellente agli alleati, poiché è proprio grazie a questi ultimi che ha ottenuto l’attuale mandato. L’unico terreno di scontro fra le parti potrà rilevarsi, come già accennato, in politica estera perché le visioni proposte in campagna elettorale sono nettamente distinte. Nulla vieta che, per amore del potere, ogni possibile screzio venga arginato sul nascere e la neo-nata coalizione prosperi per tutto il mandato governativo. Solo il tempo saprà dare conferma degli intenti dei due leader.

* Eleonora Peruccacci è dottoressa in Relazioni internazionali (Università di Perugia)

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